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CRITICHE

Mariano Apa

Geografia del pellegrinaggio

Avendo perso il centro non abbiamo il cuore. Ristabilire il centro è riprenderci il cuore. Quando il corpo era un tempio, il cuore era il centro del tempio: “Il Tabernacolo della santità di Jehovah, la residenza della Shékinah è il Santo dei Santi che è il cuore del Tempio”. E da Francesco di Giorgio Martini a Leonardo, il corpo dell’uomo è misura della realtà, è tempio/cosmo. Il cuore è il “ centro”, è il leone, è il Sole, è il Re. Le analogie si moltiplicano nella unica affermazione che ci si muove per viaggio di iniziazione, per pellegrinaggio verso il Tempio, il Santuario e, viaggiando, si scopre quanto del Tempio dove si sta andando, è già dentro di noi stessi, siamo anzi noi medesimi, e quanto il luogo “santo” è il luogo dove pulsa e batte e vive, il cuore. Non a caso medicina e astrologia accompagnano le ideologie esoteriche del micro e macrocosmo, in quella ragnatela di corrispondenze silenziose e segrete, intime, che costituiscono l’invisibile – e concreta – armonia della realtà. Avere un cuore è avere un Centro, e quindi significa presentarsi come Tempio, Luogo, Spazio dell’incontro e delle corrispondenze. Il sole pulsa nello scafandro della gabbia toracica così come il cuore vive e arde nell’oscurità dell’universo privo di ossigeno, in questa misera Galassia persa nel turbinio delle altre infinite galassie (…).
Fabio Masotti squadernando il suo “diario” di viaggio, lungo il pellegrinaggio che vive alla ricerca di sé, ci fa passare in rassegna le infinite varianti della dolce e terribile unicità del luogo, come architettonico, cosmologico “centro” del corpo dell’universo, dell’uomo; in quanto centro e tempio della realtà sua autentica e reale: la pittura. Il cuore “mostrato” da Masotti è il centro dello spazio della pittura, è il tabernacolo che santifica il tempio in quanto corpo vivente – della pitttura. L’arte è corpo ed è tempio. Così come è spazio e tempo, luogo e stagione. Il cuore della pittura è l’intimità del linguaggio che si autodefinisce dimostrandosi nella specificità di ciascuna singola opera: perché le varianti dell’unica immagine, non sono altro, anche, che tutte le immagini possibili dentro il significato del segno della singola specifica opera.
Il mondo degli affetti, dei sentimenti: il pulsare incestuoso e la balbuzie prepatologica dell’innamoramento stilnovista, diventa una metafora della ricerca androgina (da Trakl a Musil, se si vuole) – senza scomodare Duchamp -. Masotti stempera tali possibili cerebrali indicazioni da ideologia e archeologia archetipica concettuale; per parlare con disincanto dei timori e dei fremiti di quella attenta e precisa manipolazione dei materiali che incastrati nella sapienza dell’armonia e delle corrispondenze compositive e cromatiche, fanno vaporare – e scomparire – gli intellettualismi libreschi, per mostrare nella specificità della “immagine”, il corposo valore della liquefatta e durissima impronta del sentimento, del vissuto, dell’esistenza vissuta di quello spazio, di quel tempio, di quel corpo che sono poi il luogo e tempo e quindi il tempio e il corpo del proprio corpo della propria solitudine e della propria pittura in quanto messa in opera della propria ricerca critico-linguistica.
Il cuore è nascosto come un segreto nel campo da arare. Il contadino conosce le stagioni e coltiva il campo ricco: e pulsa e irrora di energia quel nascosto cuore della terra. Così dalla Madre Terra sgorgano infiniti altri corpi e mondi: e ogni opera in sé è tutti i mondo possibili di altre infinite opere. Masotti è il contadino che bene ara la sua terra: taglia lamiera e carte, incolla resina a cera, gesso a tempere e oli a legni e carte a stoffe e imbullona e decora le pieghe dei ritagli. Senza alcuna volontà polimaterica, senza voler assurgere la materia a decantatrice di altrui “campi”. In una sfrenata, erotica presa di possesso della materia come pluralità della costruzione a variante, per pluralità di strade e di innovazioni compositive. La ripetizione dell’immagine elimina la figuratività della immagine: diventa modulo, diventa germinazione biologicamente progressiva (un orecchio ai conigli di Fibonacci/Merz, un occhio alla gestaltica modularità dei timbri compositivi, un sentire l’odore pungente di ironia e popolarità dell’iconografia sociale dalla “ poesia visiva” dei “Baci” ai “cuori trafitti “ al Ginnasio, fino agli spappolamenti cinematografici). L’unicità del modulo declama la specificità di ciascuna opera, nel tentativo di costituirsi, ciascuna opera, quale conclusa “cona”.
Se l’intimismo è il decorativismo del sentimentalismo addirittura mercificato, l’intimità è il silenzio alto della profondità del sentimento, la purezza con cui si riesce a tener fede al segreto del “Cantico dei Cantici”. L’intimità del sentimento, la genuina condizione esistenziale della verità in amore, è la pittura depurata dalla figurazione narratrice ed elevata alla decantazione della immagine che si autoproclama. Anche nel sorriso – tra felicità e autoironia – che cala sulla consapevolezza dell’adolescenziale tragedia di un “amore finito”. Quei piccoli omicidi che sono alcuni suicidi, meritano l’ascolto di una pittura perfetta come una preghiera piena di rispetto e di pietà. Amore, morte e nascita. Il pellegrinaggio è una iniziazione alla consapevolezza di sé: il cuore svelato è il centro del tempio di quel corpo della pittura che sfronda decorativismi e cerebralismi, ideologie e superficialismi di maniera. Il tentativo è quasi disperante, se non si ha la capacità di vivere l’intimità del sentimento nella pluralità dei sentimenti: scortica il legno e graffia il cristallo: si volterà indietro per guardarti? (…)
Nella fatica del “fare” Masotti stempera e rende morbidi gli angoli: come due grandi seni si gonfia la pompa del sangue e fuoriesce “materna” la figura del cuore. Il modulo è un cuore “materno”, strutturato nella fisicità del sudore, del corpo che si costruisce nella manipolazione linguistica dei materiali. Il cuore vibra nella forma e nel colore: e nel suono. Un cuore/gong apre lo spazio della “rappresentazione”. E’ forma del colore, è suono del campo magnetico della serie di cuori a trafiggere la parete. La stanza diventa una laica navata, spazio sacro dove campeggia la teoria del sanguigno rosario (siamo a Maggio) come una Via Crucis di luce e di amore: “Sacro Cuore” di Joseph Beuys, come nella performance per la Croce (all’auditorium di Aachen nel 1964, per la “Lavanda dei piedi” a Dusseldorf nel 1971) o proprio per il suo poetico intervento sul “santino” del “SACRO CUORE”: “Der Erfinder der Dampfmaschine” del 1971.
Se usando la pittura (l’acrilico) infervora la superficie di orizzontali lineette, verticalmente le colonnine tipografiche mimano il battere del pulsare del cuore. Le linee dipinte possono essere volumetriche campiture perimetrale dalla linea-taglio: l’intaglio della tarsia assembla lamiere e rame, stoffe a pittura. Fondamentalmente decide per un intarsio barocco o minimalista, in una stratificazione volumetrica di materiali che è uno sprofondare nella qualificazione della superficie. I resti di altri tagli sono riusati in nuovi accostamenti di assemblaggio e di collage. Sia lamiera bullonata o tela tirata a mimare il sudario antico, una corda da barca, una gomena intreccia il corpo della linea trattenendo la barca/cuore. Il suo aggrovigliare nodi è un intarsio labirintico: è un viaggiare fermato nella disarmonia del labirinto. L’intarsio può anche convivere con la pittura, e allora il cuore acquista il racconto del dittico in avanti e dietro, in notturno e diurno. L’intarsio lavorato a lamiera può diventare l’intarsio naturalistico di fiori schiacciati sulla superficie e sagomati e traforati in una riduzione geometrica della loro figuratività. Con l’intonaco a cemento colorato e gli smalti acrilici, ecco si forma un alchemico specchio nero dove tra etruschi e oscuri liturgisti di Bruges, Masotti informa il mistero del rispecchiamento dentro l’oscurità graffiata da striature informali, da impronte che l’anima riflessa vi ha lasciato. Oppure ecco un cuore con un pulviscolo di ferri a raggiera, chiodi la cui appuntita punta incastra il vuoto e rimanda alla ragnatela dello spago tirato a legare tutti i punti di relazione tra chiodo e chiodo, tra parte e parte: non linea dipinta o taglio di tarsia, ma proprio fisico corpo di corda/linea a intrecciare un cuore di Passione, un vero religioso “Sacro Cuore”. E l’intaglio e l’intreccio diventano anche ricamo e florilegio di broccato barocco e arabo intaglio-ricamo. Nell’orrore del vuoto emerge lo sfrenato erotizzato linearismo che girando su di sé informa lo spazio, come se per paradosso il vuoto riempisse il vuoto.
Il vuoto si traduce in un significativo pieno quando è una indicazione topografica di carta geografica a far da scacchiera alla figura del Cuore: il viaggio è il modulare della scacchiera a vivere nel gioco degli Scacchi la vincita e la perdita, il diritto di vivere o la sconfitta del morire: non si incontra con la Morte, il Cavaliere che viene dalla geografia esotica di Gerusalemme, e con lei gioca la sua ultima partita, a scacchi, e si decide di quanto allungare la stagione, e di cosa in cambio avere? Viaggiare e perdersi per le strade del cuore, è ritrovarsi “senza respiro”. Camminare in pellegrinaggio con il cuore in mano, è in letizia sorridere all’incontro determinante a stabilire un significato di pellegrinaggio al camminare medesimo.
Il viaggiare nell’arte, da parte di Masotti è stato ed è un continuo meravigliarsi del trovare materiali e strumenti per inventare figure tra astrazione e iconologica rappresentazione della immagine. Già Lidia Reghini di Pontremoli benissimo aveva stabilito che Masotti riesce “ad assimilare e a ritrasmettere in una nuova sintesi gli elementi della visione; questi non verranno espressi in tipologie astratte o figurative, ma attraverso l’estensione di un discorso più globale sull’arte (…). Il lavoro di Masotti, continua la Reghini, “viene inteso non come fatto unitario, ma come una continua e sollecita interazione di parti modulari”. Tali “parti modulari” hanno informato l’intero ciclo di opere di questa amorevole “Via Crucis”. Masotti per schegge di immagini entra nella profondità del corpo, giunge al centro del tempio: e se il corpo e il tempio è (maschile e femminile) il volto della pittura, la pittura ha un cuore quale “centro” e “segno” del corpo che è anche tempio. E si può concludere ricordando l’analisi della Reghini di Pontremoli che così si esprimeva: “E’ come se l’artista volesse tracciare l’orma di una forma arcaica. Quest’orma che è ombra, verrà proiettata sulla superficie mobile della pittura, per poi essere ribaltata violentemente in primo piano, di fronte all’osservatore. Quest’immagine sostanziale della memoria è ciò che resta di un’unità infranta che l’artista cerca di ricomporre, non nei termini di verosimiglianza, ma in quelli del senso”.
Marta Lock

Pellegrinaggi

Ciò che emerge subito in modo chiaro e inequivocabile è il punto di partenza del percorso artistico di Fabio Masotti, quello della rivoluzione espressiva che ha caratterizzato la prima metà del Novecento, la rottura dello schema della figurazione per entrare nel campo del concetto, dell’astratto talmente enigmatico da aver bisogno di diventare essenziale. Materiali inediti, forme, colori a volte usati monocromaticamente altre addirittura non usati se non nella loro utilità di indicare un nuovo modo di raccontare l’arte, sono stati emblematici di un periodo in cui tutto doveva essere ristrutturato nell’ottica della libertà di espressione, slegata dalla necessità figurativa dei secoli precedenti. Poco dopo invece emerge l’esigenza di parlare un linguaggio più vicino al pubblico, più comprensibile alle persone, esigenza che trova il suo massimo nella Pop Art, nella quale i simboli maggiormente popolari diventavano icone di un’arte nuova che non poteva non conquistare.
Fabio Masotti si esprime attraverso una splendida e inaspettata sintesi di questi due punti di partenza, il Concettuale con l’attenta ricerca sui materiali, e il Pop, scegliendo uno degli emblemi, se non il maggiore, di quella cultura quotidiana, icona che tanto rappresenta e ha rappresentato nell’immaginario comune: il cuore. Un linguaggio semplice e diretto quello di Fabio Masotti, almeno nella forma più esteriore, un simbolo ripetuto e declinato in mille sfaccettature che però, a un successivo e più approfondito sguardo, nasconde concetti più filosofici più profondi, più universali sull’essenza dell’essere umano e del suo cammino attraverso la vita. Legni, metalli, intonaci, corde, smalti, sono i materiali utilizzati dall’artista per raccontare la poesia, l’intensità di legami, di emozioni che non si fermano al cuore bensì arrivano fin nel profondo dell’anima, perché l’impatto visivo è forte, sembra quasi urlare a volte un sentimento inarginabile, laddove altre invece sembra essere lì, latente e silenzioso, a descrivere quanto la vita e la realtà contemporanea ne abbiano plasmato, e a volte nascosto, l’essenza, il significato originario e più puro. La contaminazione del vivere attuale spesso distoglie l’uomo da ciò che invece conta, allontanando la sua esistenza dalla semplicità, dalla naturalezza e dall’importanza di quella sostanza che invece è l’essenza della vita stessa, ciò che attraversa le barriere del tempo e resta indelebile nel ricordo. La materia viene usata da Masotti per forgiare e scolpire il concetto, il messaggio, il racconto per immagini che, di volta in volta vuole esprimere, raccontando il disagio della contemporaneità, la perdita di valori, l’omologazione a cui spesso viene sottoposto il sentire, quasi come se lo smarrimento dell’individualità divenisse rassicurante, come se uniformarsi fosse un modo per restare all’interno di confini che permettono di non essere soli.
È proprio nell’ambito di quest’ultimo concetto che si sviluppa l’idea della mostra Pellegrinaggi, in quel trovare il coraggio, la forza interiore dell’anima legata appunto al cuore, di mettersi in cammino, di intraprendere un percorso inizialmente individuale, alla ricerca di un sé che spesso necessita di solitudine per trovare più avanti il modo e il desiderio di stare anche nella moltitudine, perché è solo dopo aver scoperto se stessi, le proprie profondità, la propria forza e la propria debolezza, che è possibile stare con molti altri che non temono di affrontare lo stesso cammino. Utilizza le mappe stradali e le carte da parati, tagliate, destrutturate e poi ricomposte nella forma iconica del cuore, delineata dal supporto in legno, perché per Masotti non è importante da dove si parte e dove si arrivi, ciò che conta davvero è il movimento, l’evoluzione, il desiderio di apprendimento di tutto ciò che c’è lungo la strada; così come l’incontro con tutte le persone che durante quello spostamento accompagnano, più o meno a lungo, il nostro viaggio.
La composizione a scacchiera dell’immagine finale tende a enfatizzare quanto sia importante intraprendere un’azione, una mossa per l’appunto, che inneschi un meccanismo di causa ed effetto dopo il quale niente è come prima di quell’impulso iniziale, così come l’adesso non potrà mai essere uguale al dopo, perché la costante mutazione ed evoluzione della nostra essenza, quel movimento perpetuo, non può che generare un arricchimento fondamentale a conoscere meglio noi stessi in relazione con gli altri. Il pellegrinaggio è da sempre un’esigenza del popolo di mettersi in contatto con la propria interiorità, seguendo il filo della religione per apprendere a scavare in fondo a se stessi e trovare risposte che spesso è difficile trovare senza ricevere un aiuto, un supporto morale, un sostegno emotivo. Ma è proprio grazie a questo contributo emozionalmente coinvolgente che l’essere umano scopre dentro di sé tutta la forza e le risposte che chiede all’esterno, eppure quell’esterno è stato fondamentale per permettergli di raggiungere quella consapevolezza, ricomponendo quelle mappe della propria personalità che senza la precedente frammentazione, intesa come rottura delle certezze apparenti e rassicuranti, non sarebbe mai giunta a compimento.
Claudia Zaccagnini

Forme nello spazio, Scultura contemporanea in progress

La ricerca estetica di Fabio Masotti si focalizza sulla relazione tra i termini uomo, sentimento e società. Egli esprime, utilizzando l’iconografia del cuore, di per sé elemento vitale e spirito, una filosofia dell’esistenza. E’ un invito a riconsiderare la necessità di rigenerare la dignità umana con il valore dell’Amore, inteso come autentico e fondamentale sentimento verso l’altro. Le sue sculture, assemblaggi di frammenti dai dolci o sghembi profili, sono simbolo e metafora al tempo stesso. L’artista lavora con sapiente perizia il legno, conferendogli un aspetto metallico. Ma quell’apparentemente inviolabile armatura, costruita con nitore, si apre al mondo sperimentando le infinite possibilità compositive dell’unione delle molteplici ed eterogenee molecole pulsanti. Ricomporre il cuore, con tutto il suo profondo significato, restituire al suo tessuto la memoria di una purezza perduta, di una bellezza che viene dallo spettacolo della Natura, dalla solidarietà, dalla generosità, è il compito che l’artista, sensibile codificatore, ma anche essere vivente del pianeta Terra, deve perseguire.
Rivista d’arte contemporanea

Artisti in Campo

Un progetto artistico che nasce oltre 20 anni fa e che trae forza dall'estro dell'artista romano, frutto dello studio e dell'elaborazione della forma tradotta da un'icona assoluta della pop art: il “cuore”.

Un simbolo intorno al quale Fabio Masotti riconduce la sua produzione artistica, dove la sagoma rappresenta sia l'elemento figurativo, sia la forma stessa dell'opera.

I lavori di Masotti, a metà strada tra quadri e sculture, pervengono a noi come sintesi di un concetto sviscerato e sviluppato all'infinito, dove la ricerca di materiali e sovrastrutture, di legni e metalli, conduce verso un sentiero inesplorato di combinazioni materiche, di volumi e profondità. Accurate composizioni dove il colore si fa forma dell'opera e ogni materiale assume la propria valenza espressiva.

Sono opere materiche che inizia a realizzare intorno agli anni '90, quando abbandona la pittura metafisica e surrealista per rispondere all’esigenza di dare forma alle sue idee, cercando altri mezzi espressivi.

L'intento principale è quello di stabilire un contatto diretto con lo spettatore.

L'esperienza tattile con le sue opere, infatti, permette di umanizzarle, e la scelta di una forma-simbolo come il “cuore” crea un rapporto di dialogo diretto con l'artista e con quello che vuole rappresentare. L'immagine simbolo della pop art, universalmente nota e riconosciuta, comprensibile a tutti, è il mezzo attraverso il quale Masotti veicola il suo messaggio, ciò che sente di dover rappresentare, che fa parte di un'indagine conoscitiva verso il mondo interiore e l'essenza dell'uomo. La parte più intima e spirituale, ma anche la sua forza e la sua vulnerabilità. Forse per questo le sue ultime opere, dove il legno zincato conferisce un aspetto ferroso seppur artificioso all'insieme composito, rimandano alla mente gli scudi medievali, o il meccanismo di una cassaforte impenetrabile.

I suoi lavori partono non più da un disegno ma da un'intuizione, molto spesso di carattere concettuale. Inducono a letture interpretative che vanno oltre la semplice sagoma ritagliata sul supporto: sono storie che si raccontano e trovano un senso compiuto tra le righe, le trame e gli ingranaggi, l'inserimento di catene e corde che rappresentano i legami, o i ritagli intrecciati di mappe stradali che indicano i pellegrinaggi del cuore e dell'anima. Il soggetto diventa una grafia, un misterioso pittogramma.

Dalle opere volumetriche di grande formato ecco che Masotti riduce le dimensioni fino a farle diventare un gioiello, piccole opere d'arte da indossare che diventano accessorio moda. E' normale per Masotti esprimersi in più linguaggi, perché gli è congeniale, è un artista che ama la manualità e la creatività oltre i limiti della forma. Grande cultore e collezionista di arredi del primo '900, anni in cui l'arte decorativa toccava l'apice dell'estetica nella forma del liberty e dell'art decò, Masotti ha saputo riportare nel suo lavoro di art-designer l'espressione artistica della decorazione intesa come gusto colto del bello. Nel corso degli anni ha concepito una forma nuova nella composizione del mobile d'arredo, contemporaneo e raffinato, pulito di ogni sovrastruttura e curato in ogni dettaglio. Un connubio di estetica e funzione che trova un punto di equilibrio nel suo personalissimo stile che conferisce alle sue creazioni un fascino di antica memoria.

I suoi mobili e complementi d'arredo sono oggetti curati, pensati e costruiti da mani sapienti, che si nutrono anche di quell'esperienza estetica del ‘900 che, come dichiara Masotti, ha sicuramente influenzato la sua formazione di art-designer, ma che poi ha superato pervenendo ad una sua personale e contemporanea sintesi espressiva.

Nell’ottica di un progetto che vede Masotti impegnato nel rendere la sua arte più diffusa ed accessibile, oltre le opere uniche, nascono nuove opere a tiratura limitata, realizzate con le più moderne tecnologie, che apriranno nuovi mercati ed attireranno nuovi, e magari più giovani, collezionisti.

Enzo Battarra

A cuore aperto

Dal catalogo della mostra “Lì dove giunge il cuore”

Lì dove giunge il cuore, proprio lì non ci sono più affanni, né dubbi, né certezze. Se il cuore è già arrivato non si consumano più i riti funerari del sacrificio carnale.
E non c’è amore, neanche lì dove giunge il cuore. C’è però solidarietà, pietas a volte un desiderio di missionaria passione. L’amore è altro. E’ nella psiche. Innamorata solo del suo destino.
Un cuore disegnato è una figura elementare, troppe volte esclusa dai manuali di geometria. E’ un’immagine entrata nel linguaggio universale. E’ il segno di ogni tempo, scavato sulla corteccia o riportato sul diario dello studente. E’ il simbolo di ogni amore, trafitto com’è da Cupido, sanguinante.
Anche le città hanno un cuore. Come gli uomini. E respirano, respirano quella stessa aria che producono.
L’organo vitale delle città è un cuore che batte al ritmo dei suoi semafori, delle sue metropolitane, delle sue aziende.
Ma il cuore che portano dentro di sé gli uomini vive di emozioni, di sogni, di slanci affettivi, di desideri. Vive di umanità.
Il cuore dell’uomo è il nucleo dei suoi sentimenti, ma anche dei suoi segreti. Il suo antagonista è la mente, che vuole dire razionalità. Mentre il cuore è tutta passione, impeto.
Eppure è spesso il cuore a condurre i passi, a decidere azioni da intraprendere, a imporre scelte. E inestricabili sono gli affari di cuore.
Ecco perché il cuore è la parte migliore dell’uomo. E’ quella che interviene lì dove c’è una richiesta di aiuto, dove c’è un’esigenza inappagata, dove c’è un desiderio di solidarietà.
Dove nasce un amore. E’ solo allora, infatti, che l’amore dell’uomo prende la forma del cuore.
Eppure, nel grande travaglio dell’umanità, non bastano i singoli cuori degli uomini, per quanto grande essi siano. C’è bisogno del cuore delle città. E soprattutto è necessario che al cinismo della tecnologia faccia riscontro la poesia dell’arte.
Per questo gli artisti meglio di altri possono esprimere le ragioni del cuore e soprattutto farle intendere a tutti. In quel linguaggio universale che è appunto l’arte.